IN AULA ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO - APPRENDIMENTO CAPOVOLTO

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IN AULA ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

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Un modo di concepire il tempo nell’educazione e nella formazione estremamente rigido, fissato nel calendario scolastico e nell’orario delle lezioni e scandito ora dopo ora nella parcellizzazione delle discipline in unità temporali minime distribuite nell’arco dell’anno scolastico, è rimasto fino ad oggi cristallizzato nonostante la sua inefficacia ai fini dell’apprendimento e la sua incapacità di rispondere ai bisogni espressi dalle giovani generazioni.
Il tempo è la risorsa più importante e preziosa dell'insegnamento e dell'apprendimento e per questo motivo l'organizzazione del tempo di lavoro di discenti e insegnanti ha sempre avuto un'attenzione particolare è stata al centro di discussioni e riflessioni fin dalle origini della scuola.

La ripartizione del tempo in tre momenti ben distinti, la lezione, lo studio individuale e la ricreazione, è attribuibile ai Gesuiti, che nel XVII sec. avevano concepito una organizzazione "totalitaria" dell’educazione, che impegnava i ragazzi nell’arco dell’intera giornata.
Con la nascita dei sistemi scolastici nazionali alla metà del XIX secolo, la concezione del tempo si è definita e consolidata in un unico modello "amministrativo", che risponde a esigenze materiali e organizzative delle istituzioni più che ai ritmi di apprendimento e ai bisogni dei discenti, e che è rimasto pressoché immutato fino ai giorni nostri, specialmente nella scuola secondaria.

A cavallo tra il XIX e il XX secolo l'impegno di fior di intellettuali italiani (Vailati, Monti, Einuadi, Salvemini) è stato vivacemente presente sulla tematica della ricerca di una organizzazione scolastica capace di favorire l’apprendimento e di dimensione temporale didatticamente efficace, ma le loro posizioni sono rimaste isolate e inascoltate nel tempo. Si è affermata invece l'omogeneità qualitativa del tempo scuola con il conseguente rifiuto delle "opzionalità".
Anche i contenuti rivendicativi dei vari "movimenti" che hanno animato le vicende del '68 italiano sono rimasti sul terreno dell'idealismo, della contestazione delle "riforme", del sostegno alle rivendicazioni degli insegnanti, piuttosto che riflettere sul loro modo di lavorare a scuola e sul miglioramento delle condizioni del suo mestiere di giovane che studia.

Il primo vero tentativo di superare la vecchia concezione ottocentesca del tempo coincide con l'avvio dell'autonomia delle istituzioni scolastiche. L'art. 21 della Legge 59/97 e soprattutto il regolamento (DPR 275/99) hanno affrontato il problema della flessibilità organizzativa, aprendo spiragli di riflessione e di progettazione dei tempi di insegnamento e apprendimento del tutto nuovi per la tradizione italiana.
C'è dunque un tentativo di finalizzare i tempi d'insegnamento all'eterogeneità degli allievi, alla diversificazione dei metodi, all'apertura della scuola all'ambiente e al territorio, all'utilizzazione delle nuove tecnologie, al lavoro in équipe degli insegnanti.

In questo verso moltissimo è quello che possono fare i singoli docenti, nel frattempo che si arrivi a dei cambiamenti di sistema, tenendo conto della necessità di razionalizzare e ottimizzare le risorse.
È necessaria ed urgente un’evoluzione della pianificazione, dell'organizzazione e dell’utilizzo del tempo in aula che permetta di ottenere il migliore utilizzo di questa risorsa così preziosa e spesso male utilizzata.
Ciò significa:
favorire una programmazione didattica articolata in segmenti, unità e moduli formativi;

fare tesoro delle opportunità offerte dalle ITC e dai linguaggi digitali e delle loro applicazioni in ambito formativo per favorire la creazione di nuovi tempi e modalità di apprendimento;

riservare più tempo in aula ai momenti di interazione tra docente e studente (decisivo il momento quotidiano delle domande e risposte sul materiale visionato a casa);
dedicare più tempo in aula più tempo all’interazione tra discenti e alle attività collaborative e di gruppo (laboratori, ricerche etc.).

L’utilizzo del tempo in aula per attività che coinvolgono direttamente i discenti permette oltre che di migliorare la qualità della didattica, anche di risolvere i problemi di gestione della classe legati ai soggetti annoiati e indisciplinati che contagiano distrazione tra i banchi e influenzano negativamente le tradizionali lezioni frontali.



 
 
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